mercoledì 13 settembre 2017

domenica 9 luglio 2017

Dall'inizio.



Arrivati a fondo pagina si sfila il foglio dalla macchina da scrivere
lo si accartoccia e butta nel cestino
palle di passato da bruciare
un nuovo foglio da inserire
bianco immacolato senza un difetto
profuma di ali per volare lontano
la fantasia accesa palpita di sogni da realizzare
le prime lettere per scaldarsi
poi il salto nella creatività
parole, solo parole ma meglio di niente…
 
 

sabato 8 luglio 2017

La sibilla. (quinta figura)



Uno non sa quel che l’altro vuol sapere e tutti gli altri sanno già.

Il segreto di pulcinella, quanti ce ne sono? un vaso specchio, un nome forma cioè singolare e plurale contemporaneamente, pendolo apparente che gioca a tennis su un campo di Wimbledon, uno non è ne l’altro ne gli altri, checcazzo mi credo di essere, tutti quei libri? Merdaccia, gioco di fino, i cani potrebbero rifiutarmi in tal caso basta girare il significato della parola e tutta fila liscio come olio.

Forma non accertata dall’esperienza quindi innominabile se non con un giudizio a priori, convenzionale, questi si sprecano, ce ne sono a non finire e nemmeno uno che mi piaccia. Restiamo nel nulla, a caso, come viene, di fronte, cioè sulla pagina dove scorre il clip, quello che vuol sapere, il curioso, la spia in incognito, la sonda nel linguaggio e poi tutti gli altri cioè il manicomio.

Una figura tramandata dal passato, un dibbuk direbbe Singer, che si è impossessato di un’ allegra comare  inglese all’apparenza molto altolocata, la figura si allarga, non è che ingrassi ma si ripete, un’eco che ridonda sull’intero pianeta e che comunque, a prescindere dai significati che esprime cioè il manicomio e quindi la chiesa inglese super puritana, è collocata con perfezione assoluta, da perderci la testa.

“Avevo un maialino che si chiamava Sorry, un regalo, veniva dalla Cina.”

“Che cosa ci facevi?”

“Che domande…me la facevo leccare, aveva una lingua rasposa, me la scarnava tutte le volte, mi faceva uscire tutto quello che c’era, un parto continuo, godevo come una pazza…”

Il peso del nome che dà forma alla bara: “Vecchia come sei non ti vergogni a dire queste cose?”

L’occhio ragnetto sull’ombelico del mondo ha un sussulto, si mette a ridere sguaiatamente, colpi di tosse a non finire, prima che soffochi do un colpetto al vaso, la sibilla si riprende e risponde: “Di quale vecchia vai parlando? Io sono giovane, io sono la madre di dio, l’ho avuto da lui!”

“Lui chi?”

“Che domanda, lui, il maiale, Sorry…”

“Vuoi dire che oltre a leccartela ti faceva anche…”

Altro scoppio di risate, si calma e continua: “Cosa dici, lui, lo avevano castrato da piccolo, era così carino, aveva un musino…”

“E come lo hai fatto il figlio allora?”

“Me lo ha portato lo spirito santo, figlio di dio garantito al cento per cento, solo che…poverino, lui, non è fortunato, ecco! Mi fa stare sempre in pena…”

Il vaso, una mazza e ribatto: “Non capisco, in tal caso che c’entra Sorry?”

La voce si fa fievole ed aspra, come se uscisse dalla bocca di una medium in trance: “Tu non sai, lui è morto ormai da tanti anni ma… solo mura intorno a me, spoglie lurida mura… viene o trovarmi tutte le notti nei sogni e… lui mi ha detto di essere dio e che era venuto da me per provarmi, lui è il mio sposo divino e quando morirò…torneremo insieme…ma non posso morire, vorrei tanto ma non posso, lui non vuole, dice che non posso lasciare il suo santissimo figlio in questo mondo di bruti altrimenti quell’altro, l’impostore, il diavolo lo ucciderà!”

Flemma inglese, a aplomb perfetto: “Chi sarebbe questo impostore?”

Altra risata isterica, singhiozzi, tosse eccetera con pianto dirotto finale poi continua, aspra, carica d’odio: “Lui è Giuda, lo deve tradire ma non lo permetterò, tu non sai quanto mi ha fatta soffrire, lui mi ha tradita…a me, la madonna, io…quanto ho sofferto…”

“Prima o dopo il maiale?”

“Che domanda, prima, se lo avessi conosciuto dopo non l’avrei neanche guardato in faccia.”

“Che cosa ci facevi con quello?”

“Oh!...questo non te lo dico, scoprilo da solo…”

“Devi essere una romanticona, quante volte hai letto “L’amante di lady Chatterly”… era più bravo di Sorry?”

Silenzio. Il vaso tace, probabilità adattata, l’abito pietrificato di una regina, chissà chi ed in quale antichissimo passato lo vestì la prima volta, patchwork della tela di Aracne, lunga catena aggiornata al presente da un fragile gambo che sostiene un peso ormai impossibile da reggere… che succederebbe altrimenti?...fuori dalla finestra si vedono i cortili del palazzo che si stanno riempiendo di merda, livelli uno sopra l’altro, le mura traboccano, qua e la si aprono crepe, si sentono sordi scricchiolii, quando torneranno coi cani…

venerdì 7 luglio 2017

La sibilla. (quarta figura)


La caccia alla volpe.
L’occhio di dio che guarda dalla tomba, la foto con l’occhio, la foto è una tomba? Forse una credenza, gira e rigira si scrivono sempre le stesse stronzate, un manicomio, habitat naturale, l’occhio del morto, il castigamatti, le spie della Cia e del KGB, agente 007 con licenza d’uccidere, s’alzano i bombardieri a bruciare Sodoma e Gomorra, insomma che palle!

Qualcosa di nuovo in tema… Un giorno, era estate, faceva caldo e stavo dondolando sull’amaca più annoiato che mai, tenevo il cazzo in mano per farmi una sega ed indugiavo sulle tante facce che apparivano nel sogno offrendosi di succhiarlo quando dal cielo arrivò un tipo in picchiata, era vago da descrivere comunque disse: “Lassù hanno deciso una caccia alla volpe, preparati perché la volpe la farai tu, non ti daranno tregua fino alla morte, fossi in te comincerei a correre.”

Alla notizia il cazzo semifloscio che stavo menando  venne subito duro e mi sborrai in mano, ero in fregola, finalmente qualcosa di eccitante. Il tipo era volato via con la stessa velocità con cui era arrivato, il problema era logico, dovevo studiarne una da fregarli tutti, come al solito in questi casi mi affidai all’improvvisazione ed ecco come andò.

Si sentivano latrare i cani, non avevo un attimo da perdere, con un fischio chiamai la mia astronave che tengo posteggiata in un cratere profondo del Fushijama, quella arrivò subito ronzando e scodinzolando, saltai a bordo ed in un attimo volai in Asia, feci prendere alla macchina l’aspetto di un drago orrendo e spaventoso ed iniziai a scorrazzare sopra la Cina facendo un fracasso del diavolo e sputando tutte le fiamme che potevo.

Inutile dire che sull’istante tutti i cinesi si cagarono addosso, feci fare al drago ancora qualche pazzia per terrorizzarli e quando vidi che erano pronti calai giù e dissi: “Se volete vivere dovete fare un pacco delle mutande dove vi siete cagati e spedirlo a Buckingham Palace personalmente alla regina Elisabetta altrimenti vi mangio tutti.” E nel dirlo feci digrignare i denti al drago e sputare fuoco e fiamme.

Quelli erano sbalorditi ma vista l’alternativa accettarono, un miliardo e passa di cinesi che si cagano addosso non è cosa da poco, si era alzata una puzza di merda colossale che il vento stava sparpagliando sull’intero pianeta, i cani rimasero confusi e persero le mie tracce, ne approfittai e volai subito a Londra.

I nobili ed i loro servi erano partiti tutti per la caccia, in giro si vedeva quasi nessuno, prima che il postino iniziasse a recapitare la corrispondenza atterrai al castello, nascosi l’astronave in un posto segreto e quindi bussai alla porta…

giovedì 6 luglio 2017

La sibilla. (terza figura)




L’occhio invisibile guardava gli amanti nella foga d’amore
gemiti spasmi d’eccitazione
un fiume di bava colava
lava incandescente dall’occhio colpevole
l’ira di dio soffiava sul quadro
tutto bruciava
misera cenere superstite d’uno stollo di merda…

 
Il numero per la chat.
“L’occhio che guarda dalla tomba, il seme contenuto, non so dove mettere il vaso, è piccolo ma ingombra, dovunque sia non si vede ma si sente, qualcosa che alita amaro e l’aria rimbomba muta del suo profumo. Chissà perché l'ho rubato? Proprio rubarlo dovevo per mettermi un cruccio in più, non ne avessi già abbastanza, va be’ l’ho fatto, inutile piangerci sopra, andiamo avanti.”  
 
Il cartellino si è perso per strada così non ho più la scusa, il vaso, quel ragnetto occhio all’ombelico, una figura spettacolare, probabilità infinite esplodono fuochi artificiali da non capirci un cazzo, la storia di Gige ad esempio che spia gli amanti, l’anello che rende invisibile, Bilbo Baggins, il drago ed il suo fiato sul collo, bacio amaro, forse il bacio della donna ragno di Puig, un ricchione, un ermafrodito, cos’è il nome e qual è la forma?  
 
I fili delle figure eruttate dal vulcano nell’isola misteriosa stavano convergendo nella pagina che avevo davanti, guardavo le lettere scorrere sul foglio, il clip scorreva al presente lasciando dietro di sé una scia di parole che appena scritte entravano nell’attimo passato e da quell’attimo l’occhio guardava, un passato presente, un nome forma, il passato qualunque esso sia non si può toccare, solo nominare.  
 
Il tappo, la tentazione di stapparlo era forte, una figura letterale, non esiste veramente, solo parole, guardavo le probabilità, forse come la lampada di Aladino c’era un genio capace di esaudire qualsiasi desiderio oppure era un semplice canapo funerario e conteneva rimasugli delle interiora di un morto vissuto chissà quanti millenni fa, sapevo che se lo stappavo non avrei più potuto tirarmi indietro, come il vaso di Pandora avrei potuto liberare tutti i mali contenuti, inoltre nella relatività del passato potevo averlo già fatto e peggio di come stavo non avrei potuto lamentarmi…
 
 Count down, il tappo venne via facilmente, dopo il plop onomatopeico dello stappo si sentì un rutto profondo e cavernoso fortunatamente senza odore, poi un ansimare roco quindi una voce d’oltretomba con civetteria femminile disse: “I’m Sorry, I’m very very very Sorry…” e così, per gli amanti dello scriver colto e sibillino si presentò.


 
 

 




 

martedì 4 luglio 2017

La sibilla. (seconda figura)

Un manicomio capitale
con rime doppie a carnevale
guardar si può dal corto al lungo
ma non trattar con quel che pungo
fin la vocale si sente male
se vento che spira non si rigira
scopan come matti la notte ed il dì
dentro la cintola di Venerdì
e di tutta la storia
han fatta baldoria.
 
Canzonar soave di gusto toscano
vergato a prosa con la mia mano…
 
 

lunedì 3 luglio 2017

La sibilla. (prima figura)


 
Quella volta…ma potrebbe essere adesso, il tempo di chi scrive e di chi è scritto non si può definire con certezza perché come tutte le pagine web se si togliesse quel che hanno scritto sopra sarebbero uguali così è anche il giorno, mi sentivo spremuto, come si suol dire ero in ricarica e stavo facendo una ricerca sull’origine della specie al Museo Egizio.
 
Camminavo tra mummie e sarcofaghi, tombe con gli occhi, trovavo la cosa curiosa, così i morti potevano guardare quel che avveniva all’esterno, quando ad un tratto ne vidi una uscire da un sarcofago ed andare verso un muro che si aprì per farla passare e sparì all’interno. L’apertura non si chiuse, incredulo di quel che avevo visto mi avvicinai al muro, subito mi trovai di fronte ad uno specchio infatti rifletteva la mia persona poi l’immagine svanì e lo specchio diventò una porta di vetro ed al di là c’era un piccolo vaso grande quanto il teschio di un uomo adulto su un piedistallo.

 Dovevo aver avuto un’allucinazione, il vetro prima rifletteva la parete di fronte e sembrava chiuso, la mummia non la spiegavo comunque incuriosito aprì la porta e presi in mano il vaso. Era tiepido, morbido, di semplice terracotta, non sembrava antico, l’apertura era chiusa con un tappo di sughero ed aveva solo l’occhio di Ra inciso con inchiostro nero sulla parte panciuta come un ombelico ed un cartellino attaccato con un cordino, sul cartellino era scritto “Rubami!” Il punto esclamativo rendeva l’ordine imperioso, nella sala non c’era nessuno e ce l’avevo già in mano, mi allontanai facendo finta di niente, lo nascosi nella borsa della macchina fotografica poi uscì dal museo.

Camminavo in un cimitero e le foto sulle lapidi guardavano
si sentiva un gran vociare provenire dalle tombe
fuochi fatui a forma di dito puntato
volteggiavano furiosi
gridando vendetta.

 A quei tempi vivevo dentro un immondezzaio mentale, era un cumulo di libri accatastati a formare una capanna nel cui interno avevo scavato una specie di stanza, non era granché ma ci stavo comodo. Corsi subito a rifugiarmi lì, non avevo fretta, giravo sul ciglio della voragine senza fondo ed i diavoli spiavano ogni mossa, posai il vaso sul tavolo e misi una tela sul cavalletto per dipingere la figura…


 

lunedì 5 giugno 2017

Il "pacco" delle probabilità.



La fontana dell’eterna giovinezza, tema ricorrente di molte favole, ad una certa età viene da pensarci, che idea essere sempre giovani però poi si invecchia e l’esperienza rigetta la cosa in un mero sogno irrealizzabile.

Figure in contrappunto, Shakespeare era un autore che recitava nelle sue commedie, in tal caso era attore e quindi non un autore, può essere di un attore autore che si è dimenticato di aver scritto la parte che recita ed allora si chiede, dai segni lasciati, che cosa intendeva l’autore quando scriveva, poi si vede un feeling seguire.

Cercare lontano quel che si trova sotto il naso, la natura non invecchia, prendiamo ad esempio un branco sterminato di bufali, i più giovani e forti tra maschi e femmine stanno al centro  formando il nucleo di riproduzione mentre vecchi e malati sono spinti di forza ai margini dove immancabilmente trovano tigri e leoni affamati in attesa. Nella figura si vede che il nucleo rimane sempre giovane ed essendo di riproduzione genera continua giovinezza, è la famosa fontana?

L’attore è invecchiato ma la lingua la sa usare ancora bene, ai margini è facile prendere morsi da tutte le parti, un'altra mentalità, la storia si muove causa effetto in modo naturale cioè impostata la causa il resto è conseguenza, ci sono cose che non quadrano col suo stile, sembra la mano di un altro autore ma come è possibile se di autore ce n’è solo uno? Vallo a capire il sistema, negarsi così solo per far apparire grand’ uomini dei minchioni privi di arte e di parte, eppure un motivo ci deve essere, causa di forza maggiore potrebbe essere un alternativa tra miliardi di altre storie quindi una probabilità come un'altra, perché negarla? il piacere della sfida, l’amore per il rischio, le cose impossibili, così quadra e si riprende, lasciamola scorrere…

Il quadro di tutte le storie possibili, che idea, l’imbarazzo della scelta ma tutto quel che viene in mente è già stato divorato e digerito da tigri e leoni, bisognerebbe trovare qualcosa di nuovo, fuori dal pensiero, dalla mentalità, dalla memoria, come morti, una cosa inanimata, una pietra, un fiume che scorre al mare, il vapore alla nuvola, l’emozione di un tramonto, di un volo che può andare ovunque frulla il desiderio, comunque un' emozione, fermiamoci qui per il momento.

domenica 4 giugno 2017

Il software.



Macchinette strombazzanti sulla via
chiamalo software che va di moda
parole rutti scoregge fuggon via a scappamento
s’alza un grande polverone di tutto quel che s’è detto
il fenomeno da qui a là
gira largo il manicomio quel che è buono perché non è cattivo
cattivo non è, allora cos’è  buono?
 
Il bello invece si vede ad occhio nudo
quel che piace la libertà
la dimensione della gabbia,
lo spazio
ali son polmoni che respirano quell’arietta pura
tutt’orecchi per sentire il profumo che le parole san cantare…
 
Ebbene sì, un computer
artiglio il software e lo sposto nel cestino
basta un clic…

 
 

giovedì 1 giugno 2017

Il bello e le bestie.


Una parola fa l’uomo nome
d’un lungo cazzo tirato a razzo
che non si specchia di fronte al come
 
forma non è la trasmissione
che l’aria canta sul far che pianta
per seminare vento nella canzone
 
oggi lo toglie da quel cognome
che lega quadri a partorir di madri
per ricordar il peso delle sue some

 
lingua sciolta nel suo portone
a macinare il tempo che corre il lampo
da qui all’orizzonte d’un sol coglione.
 
 

mercoledì 31 maggio 2017

Esmeralda



Era un giorno d’estate verso mezzogiorno, al Valentino c’era il sole, le aiole sembravano tavolozze spalmate di fiori multicolori, le fontane sprizzavano i loro getti con allegria e si sentiva un gran vociare di bambini che giocavano nei prati.

In quel periodo mi ero stufato di leggere ed avevo ripreso il trip della fotografia che da giovane avevo imparato e poi messo da parte, mi piaceva fotografare le gocce d’acqua, gli insetti sui fiori, gli uccelli in volo, le luci della notte ed i bambini. L’età mi aveva travolto con cingoli da carro armato ed il mio codice estetico m’impediva d’imitare il comportamento dei maiali ed allora cercavo la bellezza nelle immagini, i bambini si prestavano a meraviglia, li sorprendevo in pose naturali che poi al computer trasformavo in elfi e ninfette che giocavano nel classico loco ameno.

Ero appostato in caccia, i nervi all’erta, l’istinto della tigre scorreva vento sulla pelle con la macchina fotografica pronta a colpire quando notai una vecchia zingara cenciosa tutta vestita di nero che avanzava facendo la spola tra le persone per chiedere l’elemosina con la mano tesa. Abbassai l’obiettivo, emanava una pena che sfiorì la magia della caccia e aspettavo che si togliesse di torno ma quella sembrava farlo apposta e stava proprio sulla traiettoria del gruppo di bambini che stavo postando, si muoveva a zig zag ed intanto si avvicinava.

Non ho niente contro gli zingari, sono un effetto ed il male andrebbe ricercato nella causa che li costringe a fare quella vita, chiunque nascesse in un accampamento si comporterebbe come loro, è una questione di imprinting proprio come avviene nei modi raffinati dei nobili, si vede gli altri farli ed il resto è conseguenza.

Notai una certa finezza nei suoi movimenti, era magra, aveva il portamento eretto ed avanzava a saltelli come fanno le ballerine. In quel momento ricordai un racconto di Leskov, “Il viaggiatore incantato”, dove una bella zingara abile ballerina che faceva un sacco di soldi viene venduta ad un principe e poi quando questo si stufa si annega per gelosia, una morte all’Ofelia.

Non raccoglieva gran che, quel mattino erano già passati almeno una ventina di accattoni a battere la piazza, la gente si voltava per non guardarla o la cacciava con male parole, lei continuava imperterrita, oramai erano rimasti solo due anziani su una panchina ed un giovane pittore che stava dipingendo il castello, gli anziani le diedero una monetina, lei ringraziò ed il pittore si rivoltò le tasche facendole vedere che era in bolletta ed eccola qui.

Il viso vecchio e raggrinzito da una fitta ragnatela di finissime rughe, gli occhi spenti e acquosi, pose la mano e con voce querula, da suora abituata a recitare il rosario chiese: “Me lo dai un soldino? Per i bambini, han tanta fame.”

Dimostrava una sessantina d’anni e puzzava da fare schifo, la bocca piena di denti d’oro, chissà da quante bocche di morti eran già passati, negli accampamenti ci devono essere dentisti molto abili, dev’essere un segno di distinzione quello dei denti d’oro, la psicologia degli zingari, non c’è bisogno di guardar  lontano.

L’istintivo fastidio di dover fare una cosa che non dovrebbe esistere, il ricordo della zingara di Leskov mi aveva raddolcito, provai a scherzare come faccio di solito e le dissi: “Ti do la monetina ma tu cosa mi dai in cambio?”

  Lei mi guardò con aria completamente disinteressata, tese ancora la mano gemendo lacrimosa: “I bambini, una monetina per i bambini…”

Sti cazzo di bambini, non dovrebbero esistere elemosine per i bambini, non ero scemo da non sapere che era solo un commercio come tanti altri ma non lo facevano solo gli zingari quindi rimasi sullo scherzo e ribattei: “Deve essere una bella vita, una decina come te al mio servizio potrei vivere come un pascià, dimmi almeno come ti chiami e ti do il soldino.” 

Nel dirlo l’avevo guardata con i miei occhi assassini, lei ebbe un leggero sussulto, nei suoi occhi si vide come un qualcosa che stava rintanato all’interno salire in superficie e si misero a brillare.

“Perchè lo vuoi sapere?” chiese.

“Sono curioso.”

Rimase qualche secondo pensierosa e in un soffio rispose:

“Esmeralda.”

Il juke box dei miliaia di libri che ho in memoria si mise a girare e tirò fuori il disco: “Esmeralda, bel nome, l’amata dal gobbo, poi viene impiccata come Giuda, che strana combinazione.” 

“Me non mi impicchi, perché mi vuoi impiccare?”

“Per vederti dondolare, così mi segni il tempo quando suono la chitarra, scherzavo, ridotta come sei se ti impiccassi ti farei solo un favore ma quelli sono affari tuoi.” 

Aveva cambiato voce, da querula e pietosa divenne spigliata, i toni rochi dall’età ma con sfumature vagamente femminili, disse: “Se vuoi ti posso leggere la mano, dammi la destra.” 

Tono di comando, per un attimo mi sorprese, l’idea mi piacque e gliela posi.

Lei la prese tra le sue, erano dure ed ossute con lunghe unghie annerite di sporcizia, la strinse come volesse berne il calore poi la aprì e con un dito si mise a solcare le linee: “Tu devi essere fortunato,” disse con tono convinto, “qui si legge che presto conoscerai qualcuno che ti farà avere un sacco di soldi.”

Mi misi a ridere e ribattei: “Scommetto che lo dici a tutti i grulli che si fanno leggere la mano, chi dovrei conoscere?”

Rimase un attimo a pensare poi mi guardò con aria di sfida e disse: “Me!”

La cosa era proprio divertente così continuai: “Vuoi dire che andrai a chiedere l’elemosina per me? Non sono il tipo e poi ormai c’è troppa concorrenza.”

“Tu non sai ma io faccio le uova d’oro!”

“Cosa sei, una gallina?”

“Sono una donna, adesso sono vecchia, ma un tempo…”

“Se fai le uova d’oro perché vai in giro a chiedere l’elemosina?”

Lei si sedette al mio fianco e con aria di chi sta per rivelare un grande segreto che non deve sentire nessun altro rispose: “Le faccio ma per farle ho bisogno che qualcuno mi aiuti, fin’ora nessuno lo ha voluto fare ed io non le voglio dare per niente.”

Mi stava prendendo in giro ma era divertente e così stavo al gioco:

“Da dove le fai?”

“Le faccio…lo vedo che non mi credi…” si frugò in una tasca e tirò fuori una minuscolo granello dorato mettendomelo sotto il naso, odorava di uova marce, disgustoso. Lo chiuse nel pugno e continuò: “Non sono proprio uova ma io le chiamo così, questa l’ho fatta stamattina, ho usato le mani ma se lo faccio da me non viene bene, sono sicura che se tu mi aiutassi verrebbero enormi, potremmo venderle e fare un sacco di soldi poi dividiamo a metà.”

“Fammi vedere la pepita”

Riaprì la mano e me la fece toccare, sembrava proprio oro, mi stava prendendo in giro ma volevo vedere dove sarebbe arrivata: “Come hai fatto a farla?”

“Te l’ho detto, con le mani, ho fatto da sola.”

Qualcosa in me aveva capito l’antifona ma non riuscivo a credere che sarebbe stata capace di tanto, chiesi: “Con le mani, che vuol dire, trasformi le pietre in oro?”

“Non essere scemo!” esclamò decisa, “con le mani…mi escono da…come dire? mi escono da lì, cerca di capire, mi tocco e loro vengono giù però se tu mi aiutassi…”

“Vuoi dire che ti escono dalla figa?”

  “Proprio così! È un segreto, non l’ho mai detto a nessuno però adesso sono vecchia e prima di morire mi piacerebbe provare…”

“Che cosa dovrei fare?” domandai sbalordito.

“Ebbene…se tu me la leccassi sono sicura che uscirebbero che pesano un chilo, poi andiamo da quelli che cambiano l’oro e pensa la cuccagna.”

L’Arte o canone è un gioco per fini intenditori e tra le righe ce ne sarebbe già da scrivere un romanzo, per farla breve ci fu una contrattazione, intuito puro, avevo iniziato il gioco e sarei stato un vile se mi fossi tirato indietro così finsi di accettare sicuro che alla fine si sarebbe rifiutata per la vergogna, ci riparammo dietro una siepe in un posto lontano da sguardi, lei si tirò su la gonna e calò le braghe frettolosamente poi si coricò a terra aprendo le gambe. Un tanfo da far vomitare i cani eppure mi sentivo attratto, avvicinai la bocca alla sua vagina, questa si spalancò e disse:
 
“Cagar di bocca fa gelosia
tu puoi veder filosofia
dentro la bara ch’è chiusa al fato
per respirar quel che è il tuo fiato.”
 


Panta rei.




Così è,
volando sul cursore di un clip che avanza nel giorno,
temprato al fuoco dell’inferno di un'unica pagina,
un poco scazzato, è vero, ma non piegato
dal frantumar di specchi che suona la banda…


 

lunedì 29 maggio 2017

L'impotenza.


Girovago sostantivo sulla riva che torna sui propri passi per ricamminare sull’orme di prima, tema ricorrente della poesia, i lamenti di Catullo verso Lesbia, di Adamo verso Eva, “L’avessi fatto ad un altro quello che hai fatto a me…” canta Totò in quella famosa canzone, leiv motiv che si ripete da miliaia di anni, facile venirne influenzati.

Il canone guarda la figura senza giudizio, sembra che all’origine ci sia un tradimento, cos’è un tradimento? Si vede una convenzione, si sono messi tutti d’accordo a chiamar tradimento una certa cosa ed il resto si adatta. La gelosia ad esempio, chi ha detto che bisogna essere gelosi? Che bello andare a caccia e farsi tutte quelle che frulla, nei fatti poi si vede proprio quello ben mascherato da un’ipocrita faccia di fedeltà simulata, l’abitudine alla menzogna, la bambola nel pensiero che agisce da soggetto sul corpo invertito in oggetto.

La figura di quel che pensano gli altri, la vergogna, l’orgoglio eccetera, si vede una nuvola di cani latranti nel giudizio, guarda caso la figura di Dio che fa la domanda, chi ti ha detto che bisogna vergognarsi? Salti di significato, il bacio di Giuda, il bacio della donna ragno, il bacio di un ermafrodito, nella logica del nominalismo il nome è forma, Cristo è Giuda, la donna è uomo, la donna tradita si identifica in Cristo e l’uomo diventa Giuda e va impiccato mentre la donna si crocifigge, si tratta sempre di una persona sola, l’impiccato è boia e tirapiedi, tutto avviene nel pensiero, un automatismo conseguente la mentalità.

La vendetta del dio ermafrodita, l’abito immacolato della madonna, il cazzo dei negri da succhiare per ripicca, il cazzo dei morti, necrofilia logica, il significato si sposta al tradimento originale, l’origine della tragedia, nel mito il canto orfico, forse Orfeo che si volta rimandando Euridice all’inferno, seppellita due volte come la Beatrice di Dante, una sottoterra ed una in paradiso a far da ideale platonico. La vacca tormentata dai tafani della gelosia di Era, Io, io sono il dio tuo, non avrai altri…

A livello medico, psicologicamente, per adattarsi la figura deve prima negare il corpo, un corpo crocefisso che si trasforma in pietra per non sentire il dolore, medicine o non medicine è comunque un manicomio. Il nome non è forma, la causa che nega il corpo non è la gelosia.

domenica 28 maggio 2017

La caccia.


L’idea non sempre c’è allora bisogna andare a caccia. Ogni animale creatore ha le sue tecniche, c’è chi le posta ai guadi dove passano di solito, chi va a fiuto, chi mette le trappole, chi usa il cane, chi va in branco eccetera, noi di solito ci mettiamo bene in vista ed aspettiamo e le prede non tardano ad arrivare, poi è solo questione di scelta.

L’Arte disegna la figura di una baracca piena di burattini, sollevando il tetto si può vedere dentro, un occhiata di sfuggita, idea poco interessante, una calca, lunghe file di maiali indirizzati al macello, non ci piace. Idea nuova, fuori dalla baracca c’è una fontana che sprizza giovinezza, fresco profumo d’uovo appena sfornato, pic pic pic fa il becco sul guscio, s’apre ed esce il pulcino, un piacere vederlo piumare, il pennello del pittore sul colore delle ali, la musica del vento mentre si solleva per volare, le probabilità continuano senza direzione, senza rami per posarsi, poi si vede un’onda alzarsi dalla poesia e…

A questo punto si vede una bella pollastra avvicinarsi incuriosita, l’uccello diventa subito duro e la trafigge senza pietà.

 

sabato 27 maggio 2017

L'ermafrodito.



Fiutavo quel nome, “Quanto è bella giovinezza che pur passa tuttavia”, strutturato sul “Mein Kampf” che calava profondo in una tazza di caghetta di cane piena di vermi da bere d’un fiato, s’alzava un crocifisso lugubre, saltellava sulla punta all’inseguimento della porta aperta fino all’eden…accozzaglia di bestie rumorosa rigurgitata tra rutti e scorregge, tutta la storia in un solo boccone, vacche gelose d’un sol castrone, lingua feroce, meglio odiati che fare pena.
 
 

torino by night.


venerdì 26 maggio 2017

Il piacere di creare.




Un tocco di magia
giocando tra le novità
astronave tra le stelle
la carrozza fatata
sul ponte dell’odio…
 
guardando bene va da sé
nulla sollucchera che il piacere di creare,
 
certo lo so
pacioccando la tua carne farei meglio,
volare,
proprio così.
 
 

giovedì 25 maggio 2017

Il valore.


 
Avevo preso carta e penna per scrivere una poesia, avevo la frase:

“Una nuvola di niente offusca…”

 ero indeciso se continuarla: “Offusca l’aria…” oppure: “Offusca il cielo…” cercavo qualcosa di meno banale da farle offuscare e tra me ragionavo: “Una nuvola di niente come fa ad offuscare? Eppure questa deve per forza offuscare altrimenti come faccio a scrivere…” Guardavo le probabilità, doveva essere un niente contenuto da un hardware quindi era un software, immaginavo un campo magnetico nel cui interno, dal nulla, si udivano bisbiglii sommessi d’elettricità, non so se elettricità sia la parola giusta comunque qualcosa che aveva a che fare con l’energia però non si vedeva niente e non si poteva dire, lasciai in sospeso il complemento oggetto e mi limitai ad “Offusca…” poi scrissi il verso seguente:

“Canna rollata in un tubo di vetro
accesa con un biglietto da cento dollari trovato per strada…”
 
la frase era venuta così, la guardavo incredulo, è vero, qualche volta l’ho fatto, non con un centone ma usavo i biglietti da dieci mila, forse un dejà vu, era uno sballo guardare bruciare il deca, l’avevo visto fare in un film da un capitalista americano che si accendeva il sigaro appunto con il centone, cercavo di collegarlo alla nuvola di niente mentre il centone bruciava, il senso, il valore dei soldi ed il valore di chi li sa fare, i soldi si vedono, il valore invece è relativo, lo si vede solo a prova fatta, ha la forma dei soldi ma non sono i soldi, inoltre non sempre chi ha i soldi è detto che li sappia fare. Il centone era bruciato, il suo valore si era volatizzato per aria e finalmente la vidi allora scrissi il verso seguente:

“fumata alla finestra, fumo di ieri precipita nell’abisso del passato…”

 Il tempo, ecco, anche lui, la frase si evolveva dalla precedente, chiusi la finestra sul deposito di Paperon de Paperoni, l’hardware scoppiò, guardai il valore di oggi dentro la bolla di sapone e continuai:

“montagna di parole brucia tra bagliori di lampi,
lastrico stampato di credenza
nudo tra la cenere
catena sciolta fuori dalla cuccia del cane…”
 

mercoledì 24 maggio 2017

Strip tease.


Nudo  ancora troppi vestiti
strip tease a filo di pelo
via la terra via l’acqua
con giravolte mortali il palloncino si sgonfia
su tra le nuvole s’accende il fuoco da spegnere piano
sparso nell’aria di questa canzone
le ossa di parole dimenticate
macinate riprese e calzate
morbido velluto la pelle dei sensi
si tocca una volta ed esplode nell’aria
in una pioggia di stelle
il ruggito strappato alla madre.
 
Una madre feroce la natura
unghioni e zanne di tigre
la delicatezza d’un vulcano che esplode
per riabbracciarci in un solo sorriso.
 
 
 

lunedì 22 maggio 2017

Merdaccia beach.



Voltata pagina un nuovo giorno
si mette in acqua la barchetta
si spiega la vela al vento
e la si lascia andare dove va…
 

sabato 20 maggio 2017

Il chip.



C’è un mucchio di stracci rincazzati appesi al filo d’un aquilone
stesi per aria asciugano al vento male parole su quell’incorno
vox populi vox dei parla dall’alto il dito puntato alla pustola gonfia
un mucchio di cani c’abbaia furioso il tutto nel chicco d’uno stronzo di riso…
 
Oh mala parata la mela mangiata
il male s’immola per altra mandata
sul ciuccio del tempo che s’apre alla figa
il cazzo che entra si gonfia da sé…
 
Baci e carezze d’annata scordata
s’accorda col la che suona il sofà
mentre ti sfondo davanti e didietro
con grande trombare di fuoco e…
 
Il vetro s’appanna al fiato che spreco
per dire che al nulla non devo ragione,
chi parla chi ascolta è proprio un coglione.
 
 

venerdì 19 maggio 2017

Senza prima che rima.


 
Può essere nel silenzio del loculo vuoto
l’attesa del tempo che manca
immaginando già d’esser lì
nuda la pietra ridotta in polvere
che il vento alza al sublime parlare
non dice ma s’apre al spettacolare tramonto
d’un fuoco di paglia.
 
Frizzante lo specchio di tanta bellezza
un lago di stelle la zattera sale
sul ramo che è spoglio d’idea,
sul ciglio del nulla l’orizzonte si ferma a guardare
il piacere sorridere nella culla,
è nato nel nuovo cantando e ballando un sogno di carne,
una giostra di incanti,
il piede del naufrago si posa alla terra.
 
Ebbene così,
simulacro di nulla,
dalla merda cagata di fresco germoglia il seme…
 
 

giovedì 18 maggio 2017

L'anima gemella.


Questa è la storia di un burattinaio che si innamorò di una burattina in tutù bianco
mentre gli struzzi, la testa sotto terra, non guardavano,
così prese l’ascensore per scendere da lei mentre la ballerina saliva da lui.

 
Tra le facce da culo alzate degli struzzi che non guardano
c’è un ring capovolto a testa in giù
che vede il cielo nel centro della terra,

 
non c’è idea ne poesia,
sabbia arida e brullo gracchiare d’uccellacci spennati,
lunga teoria di tacchini boriosi diretti alla pentola fumante in fondo al cammino,
botte da orbi, facce e rinfacce, orgoglio vergogna e tanta scarogna…

 
Causa di forza maggior non chiede scusa,
bussa alla porta di quell’intrusa,
vaga la bambola raccattata a terra nel ciel che non splende se non d’invidia,
oggi è parlar  corto del creder vero quel che non è,
rallegra la stanza di quel che scrive la sua libertà
a guardar vicino quel che sarà.

 
Appesa alla gruccia con gli altri la burattina tornò
e tutta la storia finisce così.