Il numero per la
chat.
“L’occhio che guarda dalla tomba, il seme contenuto, non so dove
mettere il vaso, è piccolo ma ingombra, dovunque sia non si vede ma si sente,
qualcosa che alita amaro e l’aria rimbomba muta del suo profumo. Chissà perché
l'ho rubato? Proprio rubarlo dovevo per mettermi un cruccio in più, non ne avessi
già abbastanza, va be’ l’ho fatto, inutile piangerci sopra, andiamo
avanti.”
Il cartellino si è perso per strada così non ho più la scusa, il
vaso, quel ragnetto occhio all’ombelico, una figura spettacolare, probabilità
infinite esplodono fuochi artificiali da non capirci un cazzo, la storia di Gige
ad esempio che spia gli amanti, l’anello che rende invisibile, Bilbo Baggins, il
drago ed il suo fiato sul collo, bacio amaro, forse il bacio della donna ragno
di Puig, un ricchione, un ermafrodito, cos’è il nome e qual è la forma?
I fili delle figure eruttate dal vulcano nell’isola misteriosa
stavano convergendo nella pagina che avevo davanti, guardavo le lettere scorrere
sul foglio, il clip scorreva al presente lasciando dietro di sé una scia di
parole che appena scritte entravano nell’attimo passato e da quell’attimo
l’occhio guardava, un passato presente, un nome forma, il passato qualunque esso
sia non si può toccare, solo nominare.
Il tappo, la tentazione di stapparlo era forte, una
figura letterale, non esiste veramente, solo parole, guardavo le probabilità,
forse come la lampada di Aladino c’era un genio capace di esaudire qualsiasi
desiderio oppure era un semplice canapo funerario e conteneva rimasugli delle
interiora di un morto vissuto chissà quanti millenni fa, sapevo che se lo
stappavo non avrei più potuto tirarmi indietro, come il vaso di Pandora avrei
potuto liberare tutti i mali contenuti, inoltre nella relatività del passato
potevo averlo già fatto e peggio di come stavo non avrei potuto
lamentarmi…
Count down, il tappo venne via facilmente, dopo il plop
onomatopeico dello stappo si sentì un rutto profondo e cavernoso fortunatamente
senza odore, poi un ansimare roco quindi una voce d’oltretomba con civetteria
femminile disse: “I’m Sorry, I’m very very very Sorry…” e così, per gli amanti
dello scriver colto e sibillino si presentò.