venerdì 31 marzo 2017

La ruota panoramica.




 
Nella realtà i piedi per terra assaporano il fango,
gusto della Terra, di madre, di vecchio…
giù giù radici invisibili penetrano le viscere,
pozzo profondo d’automi di carne, 
lì nascosta c’è lei, l’antica, la fonte di ogni natura,
allo specchio sorgente di  ogni pensiero,
un flebile rivolo d’acqua maleodorante…
 
 
 
Così sei diventata fontana d’eterna giovinezza,
giocavamo bambini tra i pali e le vigne
ed ora una voce morente,
il centro del cerchio forato dal compasso piantato…
 
 
 
Musa dolente,
poesia fischiata dal buco di Tisbe,
parlami ancora,
un’ altra farfalla da colorare e far volare tra i fiori,
piangere o ridere è meglio ridere,
la ruota panoramica gira il suo tempo,
il nostro è arrivato, la stazione alla posta…
 

giovedì 30 marzo 2017

Il buco nero.



Vaga la storia di quella pazza
che per gli anni dimenticò la giovinezza
e si ridusse filo a parlare dentro una tazza,
 
oh quella bocca quanto l’ho amata, carezza
la lingua la lingua sua  su quella fiamma
che di tutta la vita ha fatto dramma.
 
Or tra le gambe si muove il filo,
entra parola nel fiato grave
a cercar di te nel pozzo amaro,
 
una poesia creata a stilo
solo per far di fetor soave
tutto quel dì che sempre ho caro.
 
Dentro la fiamma ce ne son mille
ancor che bruciano e fan faville…

 

mercoledì 29 marzo 2017

Il manicomio.



Girando intorno al mondo il mondo gira l’hula hoop
l’anello del bardo che canta la storia alla luna
dentro le stanze del manicomio rime spaiate dal lupo giocondo
richiamo di sogni per l’ombra bruna
salta il tappo nel buco della fontana
schizza follia effervescente
ogni bollicina un’ illusione che fa splash,
per fortuna…

lunedì 27 marzo 2017

Il naso.



Sogni e speranze han lasciato le stanze
odio e amore han perso sapore
gli anni son qui in un unico dì
vissuto per caso alla tira del naso.
 
Tempo sepolto in un chicco di riso
allegretto con andante deciso.

mercoledì 22 marzo 2017

La figura del cretino.




 
Colazione da Tiffany,
letto morbido, vaporoso,
mentre una succhia il cazzo l’altra offre il seno,
puro latte di vacca americana.
 
Isola misteriosa il mattino,
vola alla sera sull’ali del gallo che canta nell’aia,
doppio senso ma con discrezione la figura del mondo alza la cresta.
 

martedì 21 marzo 2017

Get up.



Una manciata di lettere buttate all’aria aprivan le gambe,
era senza mutande coi peli biondi e profumava di vetro di nuvola e di…
musica era la voce,
attirava il ferro arrugginito nel fondo della vita.
La scala si alzava sopra un mare di nulla,
saliva,
non si vedeva la fine mentre la lingua leccava,
con delicato piacere le lettere erano l’acqua che spegneva quel fuoco.

domenica 19 marzo 2017

Pagina bianca.




Le figure del canone, una serie di passaggi obbligati, il poeta pittore e musicista, si va a naso quindi il profumo, si dice fiutare la pista ed ecco apparire l’immaginario collettivo, per il momento non suona, si vede un armadio baule pieno di abiti rosi da tarli che rodono, le canne dell’organo attaccano la Toccata e fuga in re minore di Bach, solo il nome ed a questo punto appare un immenso cimitero sulla luna, figure aggiornate di fuochi fatui che danzano sulle tombe ognuno la sua storia, potrebbe avere inizio dalle figure della mitologia classica, Giove and company, ogni popolo ha i suoi, nomi diversi applicati alle stesse forme che poi si evolvono ad oggi con le facce trasmesse dai media. Dico potrebbe perché potrebbe essere più antico ma per il momento limitiamoci a questo. L’immaginario è un universale immaginato quindi trascendente, come ogni buon filosofo sa l’universale è formato da parti, un patchwork tipo la tela di Aracne, in questa si vede la cripta buia di una chiesa, una luce fatua sul fondo, l’organista tocca, si vede un imponente crocefisso con J.F. Kennedy inchiodato com’era prima della morte, tutto come al solito, la corona di spine, la ferita al costato, la fascia lurida e insanguinata che gli copre il “pacco”.
Di fronte inginocchiata c’è una suora in tonaca nera, la si vede di spalle, sembra che stia recitando un rosario ma non si può dire con certezza perché biascica le parole come se fosse senza lingua. Sequenza, si avvicina al crocefisso e gli addenta i coglioni sotto la fascia poi scuote la testa avanti ed indietro come se volesse staccarglieli, smette qualche secondo e la si sente pronunciare più volte con astio acido e rancoroso: “Traditore!” e riprende ad addentarlo e tirare, Il crocefisso non è affatto una statua, sembra proprio carne viva, muove la testa gemendo a denti stretti e con voce soffocata dal dolore dice: “Perdonami… tornerò e ti salverò…”
La suora non sembra ascoltarlo e continua a mordere, un movimento statico puramente onirico così come potrebbe sognare una mummia morta da millenni, a questo punto mi deve aver sentito, la suora smette di mordere e gira la testa verso di me. Nella penombra del cappuccio si vede un volto scheletrico con la pelle sottile ed incartapecorita, il naso rientrato, la bocca un grumo, gli occhi infossati con sul fondo due pallide luci che tremolano.
La suora si tocca il viso poi con voce stranamente giovane e civettuola, in inglese americano che per comodità traduco in italiano dice: “Di che stai parlando? Guarda come sono bella, nessuna è più bella di me!”
Dopo la toccata la fuga, su una linea melodica si vede Rea Silvia sepolta viva che accusa Marte di averla sedotta, su questa si vede l’inferno però non quello immaginario, quello reale.
“Chi sei?” le chiedo.
La suora con uno strillo molto femminile di sorpresa risponde: “Come, non mi riconosci? Io sono Marylin Monroe, la divina!” Guardo le probabilità e continuo: “Qui non esistono specchi?”
Lei con voce questa volta roca e cavernosa ribatte: “Di quali specchi vai parlando? Tu piuttosto, che ci fai qui?”
“Sono venuto ad ucciderti.”
“Ah ah ah!” ride lei, “sono già morta e lui…” indica il crocefisso, “ha promesso che verrà per portarmi in paradiso ma…è falso, un bugiardo…tu non sai…”
Kennedy dalla croce ha aperto gli occhi, con voce pietosa e supplicante ripete: “Perdonami, tornerò e ti salverò…”
La suora lo guarda, alza una spalla indifferente e con occhi diventati più luminosi torna a rivolgersi a me. Con probabilità da manicomio dice: “Sono contenta che sei venuto, adesso non sarò più sola. Lui…” mormora una bestemmia sotto voce e continua: “Anche tu all’inferno, lo sapevo che saresti venuto qui, quando sei morto?”
Ignoro la domanda e probabilizzo: “Una parola che non muore, quando te lo disse l’ultima volta?”
“Che cosa?” chiede lei, leggermente allarmata.
“Che sarebbe tornato per salvarti.”
La suora guarda il crocefisso poi gli si avventa contro e gli morde furiosamente i coglioni gridando: “Traditore, traditore!”
Tasto delicato, con cautela ribatto: “È inutile che mordi, quei coglioni non esistono, non li ha.”
Lei si scosta dal crocefisso tremando, mi guarda e con voce mielosa dice: “Allora vuoi che lo succhi a te?... sono brava a succhiare cazzi, lo faccio anche ai… tiralo fuori, che aspetti, ti faccio un pompino all’americana, non c’è nessuna più brava di me a farli.” “Di quale sogno stai parlando? Non ho voglia di sprecare parole con una vecchia rincoglionita, quando te lo disse l’ultima volta?” La suora si passa una mano scheletrica e rugosa davanti agli occhi, dondola il corpo per qualche secondo e risponde: “Me lo disse…mi pare…forse stavo guardando la televisione, c’era lui e parlava dei ragazzi in Vietnam, poi mi guardò fisso e lo disse, disse proprio così, che sarebbe tornato a salvarmi…poi…ci fu un esplosione, la televisione…esplose e…poi…mi ritrovai qui…da allora…”
“È avvenuto tutto per televisione, cose che ti sognavi, lo hai mai visto di persona?”
  “Certo, veniva tutte le notti, mentre dormivo, si infilava nel letto e poi… io…nessuna lo…” si interrompe e si mette a singhiozzare. Continuo: “Eri malata di nervi, non riuscivi più a lavorare, ti avevano abbandonata tutti e avevi il corpo che si riempiva di grinze e cuscinetti, ci doveva essere un dottore…”
“Oh sì, anche lui e qui, è un angelo bellissimo, sta su in paradiso, ogni tanto me lo fanno vedere, nell’ora d’aria, sai, qui…mi vergogno tanto.”
  “Hai avuto un figlio da lui?”
“Questo è un segreto che non sa nessuno, chi te lo ha detto?”
“Si vede nella figura, il figlio di dio, lo hai saputo qui, però tu sei ancora vergine perché avevi…”
“Se sai già tutto perché insisti?...”
È vero, infatti ci sarebbero tante cose da aggiungere ma si apre una porta e nella cripta si accende una lampadina sul soffitto, entrano due infermieri neri africani grossi e muscolosi, la sollevano per le ascelle e dicono: “Per oggi basta così, sei stanca, ora devi riposare.” Senza dir altro la trascinano fuori, un corpo esangue, privo di qualsiasi volontà. Nella cripta rimasta vuota l’automa crocefisso ripete: “Perdonami, tornerò e ti salverò!” ai muri che rispondono l’eco.

giovedì 16 marzo 2017

La data.



Disegnata sul muro ti leccavo tra le gambe
mentre mestruavi l’idea digerita,
sangue era l’intonaco,
sapeva di mattone e calce e stucco,
polvere di anni scorreva insalivata
giù per la gola in fondo al pozzo,
tu sgorgavi innocente di colpa
e musica era il terremoto,
colore il fuoco del vulcano,
poesia la lingua che sognava…

Il convitato di pietra.



Tempo fa ho conosciuto uno che era un fervente buddista. A quei tempi frequentavo l’università di filosofia e nei giorni caldi andavo al Valentino col cane, cercavo un albero con una bella chioma e mi sedevo alla sua ombra per ripassare la lezione. Preparavo un esame su Epicuro che a quei tempi mi affascinava e stavo leggendo il De Natura di Lucrezio quando lo vidi. Stava seduto a gambe incrociate sui bordi di una fontana, era vestito con una tuta dal colore giallo sbiadito, scalzo, teneva il busto rigido e le mani abbandonate sulle ginocchia, completamente immobile. Sul momento mi sembrò una statua ma ero alle prese col “Clinamen” che non riuscivo a capire, tutti questi atomi vomitati da Democrito che giravano per aria combinandosi a caso deviavano, fin qui ci arrivavo ma non capivo perché e mi figuravo un formicaio con le formiche atomi e poi cercavo di collegarci il Clinamen e vedevo che comunque andasse le formiche andavano sempre in cerca di cibo e questo non deviava dalla regola eccetto quando venivano catturati dai ragni ed in quel caso era proprio un caso e oltretutto periodico. Fu per un incidente che ci conoscemmo, il mio cane gli si avvicinò, lo annusò e visto che rimaneva immobile alzò una gamba e gli pisciò addosso. Assistetti alla scena senza dir nulla, avvenne tutto in un attimo, lui sgranò gli occhi per la sorpresa, impiegò qualche secondo per riprendersi dal trance poi si alzò in piedi di scatto inveendo contro il cane. Quello naturalmente, seguendo la legge causa effetto propria dei cani venne subito a ripararsi da me così non potei fare finta di niente come faccio di solito ed in questo modo avvenne la deviazione che portò i nostri atomi ad incontrarsi ed a quel punto avevo capito il Clinamen, ero entusiasta e quando lui si avvicinò con aria furibonda gli diedi una sonora pacca sulle spalle per la gioia senza misurare le forze che lo fece sobbalzare e cambiare espressione. Non essendo abituato di natura a chiedere scusa e sempre preso dall’entusiasmo gli dissi: “Perché gli atomi mangiano e non avendo fame mutano la causa di necessità e se ne vanno a cercare altre!” Quello doveva avermi preso per un pazzo, si massaggiava la spalla con aria intimorita e si allontanò di qualche passo, poi mi indicò i pantaloni pisciati e stando sul chi va là mi chiese che cosa doveva fare. Aveva gli occhi a mandorla, non ho mai capito se fosse cinese o giapponese o chissà che altro perché qui si assomigliano tutti, aveva braccia e gambe leggermente arcuate, i capelli neri con la frangetta e gli occhi accesi d’orgoglio, nell’insieme sembrava una scimmia. Senza pensare gli risposi: “Semplice, te li togli, li lavi alla fontana e poi aspetti che asciugano.” Mi guardò incredulo poi scoppiò a ridere istericamente e lacrimava, intuivo che in lui c’era qualche rotella che non girava al suo posto forse per via del Clinamen e per fargli vedere d’impulso mi levai i pantaloni, ci pisciai sopra e poi andai alla vasca per lavarli. Il cane ci osservava incredulo, lui rimase ancora stupito, poi assentì col capo e si levò i suoi per fare altrettanto. Mettemmo i panni al sole poi ci sedemmo su una panchina in attesa che asciugassero. Era di poche parole, in quel primo incontro disse che stava seguendo una pratica di meditazione Zen, era in cerca del Nirvana, della pace interiore, del sommo bene e cose del genere. L’argomento si adattava a Epicuro, il tetrafarmaco, la super medicina, gli chiesi se faceva uso di droghe, lui disse che non era una medicina ma un abbandono dei sensi che portava ad una dimensione che non si poteva capire fin quando la si raggiungeva e finimmo l’argomento fumandoci una canna. Continuammo a vederci per circa un anno, sempre al solito posto, lui faceva le sue meditazioni mentre studiavo e nel frattempo il cane gironzolava per pisciare contro gli alberi o annusare il culo agli altri cani sotto gli sguardi allarmati dei loro padroni. Quel giorno era inverno, durante la notte aveva nevicato ed il parco era tutto bianco, sembrava di marmo. Il buddista era accovacciato  di fronte alla fontana, immobile come al solito. Ripulii una panchina e mentre il cane si scatenava in cerca di avventure olfattive aprii il libro che stavo studiando, è passato tanto tempo, mi pare fosse “Al di là del bene e del male” di Nietzsche. Passarono un paio d’ore, smisi di leggere e guardai verso di lui. Era sempre al solito posto immobile, c’era un piccione che gli si era posato sulla testa e lo beccava tra i capelli e si sentiva risuonare un toc toc toc vuoto che mi preoccupò. Mi alzai per andare a vedere, il piccione volò via ma lui rimase immobile con gli occhi chiusi. Lo toccai per svegliarlo, la mano incontrò un corpo duro, pietrificato, una statua! Non riuscivo a crederci, forse mi stava facendo uno scherzo e lui era da un'altra parte a ridere, guardai intorno ma non c’era nessuno, arrivò il cane ed incurante alzò una zampa per pisciargli nuovamente addosso, lo cacciai con una pedata poi facendo finta di niente mi allontanai. Da quel giorno non lo vidi più, che fine abbia fatto lo ignoro, forse aveva trovato quello che cercava, il Nirvana, una statua di pietra incurante del freddo e del caldo.

martedì 14 marzo 2017

L'isola del tesoro. Introduzione.



Introduzione.

Una notte mentre passeggiavo nelle vicinanze di un porto venni rapito da un gruppo di uomini incappucciati e trasportato di fretta su una nave che subito salpò per il mare blu.

All’inizio si tolsero il cappuccio, erano proprio dei ceffi, tutti sfigurati, a chi mancava un occhio, a chi un orecchio, a chi una mano, a chi un piede… subito dissero che mi avevano rapito perché avevano bisogno di uno per pelare le patate e che potevo scegliere se farlo oppure venire buttato ai pesci. A me questa cosa di pelare le patate convinceva poco ma visto l’alternativa accettai e per una settimana pelai patate e tutto filò liscio.

Arrivammo in vista di un’isola che al centro aveva un vulcano che fumava, si vedeva ancora da lontano, un puntolino piccolo piccolo, quando improvvisamente mi presero e legarono ad un palo e poi si misero davanti e con aria truce brandendo pistole, fruste e coltellacci mi dissero che erano alla ricerca di un tesoro e sapevano da fonti attendibili che ero a conoscenza del suo nascondiglio e dovevo dirglielo altrimenti mi avrebbero fatto a pezzi.

Ero proprio in un bel guaio, di tesori non ne sapevo nulla e quelli sembravano pazzi furiosi, cercai di prendere tempo, dissi loro che poteva essere ma al momento non ricordavo, dovevo pensarci su, insomma, dissi anche altro ma quelli non si facevano infinocchiare e mi punzecchiavano coi coltellacci. Al mezzodì si ritirarono nell’ altra parte della nave per pranzare e intanto discutevano a voce alta gridando tutte le torture a cui mi avrebbero sottoposto ma a questo punto dall’isola si sentì un’esplosione violentissima poi un fischio lacerante avvicinarsi rapidamente quindi la nave venne colpita proprio al centro da un enorme masso infocato che la divise in due, me da una parte e quelli dall’altra.

Il mare era agitato, spinti dalle onde i due tronconi iniziarono ad andare alla deriva ognuno per conto suo in preda alle fiamme ed intanto affondavano, per giunta si vedevano arrivare grossi squali da tutte le parti ed il cielo si stava ricoprendo di uccellacci gracchianti che non dicevano nulla di buono.

Legato com’ero non sapevo che fare, cercai di liberarmi ma le corde erano strette, per fortuna l’asse dove era fissato il palo era stata spezzata dall’impatto del macigno e con uno sforzo erculeo riuscii a sradicarlo poi trovai uno spigolo tagliente e segai le corde.

L’incendio si era quasi spento ma il troncone sballottato dalle onde continuava ad affondare, nel mare i pescicani sembravano sghignazzare e deglutivano affamati e nel cielo gli uccellacci oscuravano il sole, spensi le ultime fiamme e poi mi guardai intorno per cercare qualcosa che mi tenesse a galla ma non si trovava proprio niente. Ero disperato e intanto il tempo passava, dopo un po’ m’accorsi che la nave aveva smesso di affondare, insomma era quasi tutta sott’acqua ma restava a galla, aprii un boccaporto e guardai sotto, nella stiva c’era una partita di air bag che nell’impatto si erano gonfiati ed avevano occupato tutto lo spazio comprimendosi contro le murate e limitando l’entrata dell’acqua.

Inutile dire che tirai un sospiro di sollievo, per giunta in uno sgabuzzino trovai delle gallette, un barile di acciughe e delle pinte di rum così feci subito uno spuntino.

Il troncone andava alla deriva e si stava avvicinando all’isola, sembrava attratto, guardai intorno per cercare gli altri ma a parte gli squali e gli uccellacci non c’era traccia.

Per farla breve arrivai all’isola, proprio qualche minuto fa, il relitto si incagliò sul fondale ad una cinquantina di metri dalla riva ed adesso sono qui che la sto guardando.



Continua...

Le sborrate di Dostoevskij

 
 
 
  Una montagna di libri, autori vari,
le sborrate di Dostoevskij
tra l’altro macinavano gli occhi con denti di tarli,
il tempo le ondate di sabbia si frangeva contro le piramidi del morto indigerito
nello stomaco di Crono,
 
il morto parlava, raccontava una storia, sempre la stessa e musica invisibile
suonava la giungla al cancro che gonfiava sotto la lingua,
nei meandri del tubo il fantasma di Quetzalcóatl ancora diceva: “Tornerò”
il serpe alzava la testa comprimendo il rutto all’ultima parola,
usciva fiato d’indemoniato e non scaricava…
 
I morti aspettavano il giro di chiave per uscire dalle tombe,
in fila tra i piani della libreria allineati l’esercito suonava le trombe,
i piedi battevano la marcia il tamburo alla terra…
c’era anche il dottor Faust assorto in bagno nella diarrea di Goethe
e Mefistofele dirigeva a bacchetta.
 
Sulla cima più alta l’aquila pronta a ghermire, che delusione, un semplice verme nella mela bacata…

La lampada di Psiche.


Unto dal fuoco colato giù da chi per rimanere vergine partorì dal culo una porta chiusa
 
burattini sugli scaffali, gli occhi spenti, guardano
poltiglia d’anni la botte piena gonfiar l’aria del pallone viscido pensiero sulle tombe calpestate,
tra gli intestini bisbiglia il verme tentatore,
le punte della ballerina danzano sul cuore sanguinante del sogno
fuoco contro fuoco si spegne la fame di te,
la sete della tua acqua, la brama di carne…
la tua bocca  parla tra le gambe mentre la lingua lecca e rilecca
tra gli scaffali non un grano di polvere s’alza al vento.

Sognatore.

 
 
 
Sognatore, lettere di cera scritte sull’ali del frullo

Cercan tepore tra le stelle brulle

In fin di riga dove il punto trilla…

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Il guerriero.


Il guerriero.

Sul campo di battaglia budella insanguinate sparpagliate
s’attorcigliano intorno alle gambe dei soldati
altre teste rotolano altre budella si sparpagliano nel clangore di spade,
incuranti le mosche festose al banchetto chi divora chi depone uova,
oltre la mischia acquattate le iene in attesa
più su avvoltoi ad ali aperte ruotano offuscando il sole,
buio il fiume di sangue che scorre all’inferno.
 
Spiccioli nel borsellino tintinnano spenti,
rotola la boccia al pallino,
il tempo cammina sotto i piedi,
il guerriero pettina grigio e guarda l’orizzonte il sole al tramonto.
 
 

domenica 12 marzo 2017

About the time.

 
Le sborrate di Dostoevskij.

Una montagna di libri, autori vari,

le sborrate di Dostoevskij

tra l’altro macinavano gli occhi con denti di tarli,

il tempo le ondate di sabbia si frangeva contro le piramidi del morto indigerito

nello stomaco di Crono,

il morto parlava, raccontava una storia, sempre la stessa e musica invisibile

suonava la giungla al cancro che gonfiava sotto la lingua,

nei meandri del tubo il fantasma di Quetzalcóatl ancora diceva: “Tornerò”

il serpe alzava la testa comprimendo il rutto all’ultima parola,

usciva fiato d’indemoniato e non scaricava…

I morti aspettavano il giro di chiave per uscire dalle tombe,

in fila tra i piani della libreria allineati l’esercito suonava le trombe,

i piedi battevano la marcia il tamburo alla terra…

c’era anche il dottor Faust assorto in bagno nella diarrea di Goethe

e Mefistofele dirigeva a bacchetta.

Sulla cima più alta l’aquila pronta a ghermire, che delusione, un semplice verme nella mela bacata…




 La vacca dei miei sogni.



L’uccellino del cucù

pensiero suonator di corda vocale batte sul timpano giocando al cacchione

musica di vacca rapita in estasi sopita canta la filastrocca gnocca

 incocca una freccia l’arco teso senza mira colpita al cuor della tensione

fili e corrente un fulmine il ciel sereno mammelle sode

il latte è sangue vino di giornata novello con brio.

Giungla spinosa nel cranio rapita gli occhi del bove si guarda all’antifona…

  

La pazienza.



 Il progetto,

sorge il sole al mattino per la solita pizza da cuocere al forno,

un giro l’idea una corsa alla sera,

poesia queste inutili ali non decollano,

nell’aere negato non c’è volo

lungo l’attesa nel silenzio dei sensi…

onda.jpg

...