giovedì 16 marzo 2017

Il convitato di pietra.



Tempo fa ho conosciuto uno che era un fervente buddista. A quei tempi frequentavo l’università di filosofia e nei giorni caldi andavo al Valentino col cane, cercavo un albero con una bella chioma e mi sedevo alla sua ombra per ripassare la lezione. Preparavo un esame su Epicuro che a quei tempi mi affascinava e stavo leggendo il De Natura di Lucrezio quando lo vidi. Stava seduto a gambe incrociate sui bordi di una fontana, era vestito con una tuta dal colore giallo sbiadito, scalzo, teneva il busto rigido e le mani abbandonate sulle ginocchia, completamente immobile. Sul momento mi sembrò una statua ma ero alle prese col “Clinamen” che non riuscivo a capire, tutti questi atomi vomitati da Democrito che giravano per aria combinandosi a caso deviavano, fin qui ci arrivavo ma non capivo perché e mi figuravo un formicaio con le formiche atomi e poi cercavo di collegarci il Clinamen e vedevo che comunque andasse le formiche andavano sempre in cerca di cibo e questo non deviava dalla regola eccetto quando venivano catturati dai ragni ed in quel caso era proprio un caso e oltretutto periodico. Fu per un incidente che ci conoscemmo, il mio cane gli si avvicinò, lo annusò e visto che rimaneva immobile alzò una gamba e gli pisciò addosso. Assistetti alla scena senza dir nulla, avvenne tutto in un attimo, lui sgranò gli occhi per la sorpresa, impiegò qualche secondo per riprendersi dal trance poi si alzò in piedi di scatto inveendo contro il cane. Quello naturalmente, seguendo la legge causa effetto propria dei cani venne subito a ripararsi da me così non potei fare finta di niente come faccio di solito ed in questo modo avvenne la deviazione che portò i nostri atomi ad incontrarsi ed a quel punto avevo capito il Clinamen, ero entusiasta e quando lui si avvicinò con aria furibonda gli diedi una sonora pacca sulle spalle per la gioia senza misurare le forze che lo fece sobbalzare e cambiare espressione. Non essendo abituato di natura a chiedere scusa e sempre preso dall’entusiasmo gli dissi: “Perché gli atomi mangiano e non avendo fame mutano la causa di necessità e se ne vanno a cercare altre!” Quello doveva avermi preso per un pazzo, si massaggiava la spalla con aria intimorita e si allontanò di qualche passo, poi mi indicò i pantaloni pisciati e stando sul chi va là mi chiese che cosa doveva fare. Aveva gli occhi a mandorla, non ho mai capito se fosse cinese o giapponese o chissà che altro perché qui si assomigliano tutti, aveva braccia e gambe leggermente arcuate, i capelli neri con la frangetta e gli occhi accesi d’orgoglio, nell’insieme sembrava una scimmia. Senza pensare gli risposi: “Semplice, te li togli, li lavi alla fontana e poi aspetti che asciugano.” Mi guardò incredulo poi scoppiò a ridere istericamente e lacrimava, intuivo che in lui c’era qualche rotella che non girava al suo posto forse per via del Clinamen e per fargli vedere d’impulso mi levai i pantaloni, ci pisciai sopra e poi andai alla vasca per lavarli. Il cane ci osservava incredulo, lui rimase ancora stupito, poi assentì col capo e si levò i suoi per fare altrettanto. Mettemmo i panni al sole poi ci sedemmo su una panchina in attesa che asciugassero. Era di poche parole, in quel primo incontro disse che stava seguendo una pratica di meditazione Zen, era in cerca del Nirvana, della pace interiore, del sommo bene e cose del genere. L’argomento si adattava a Epicuro, il tetrafarmaco, la super medicina, gli chiesi se faceva uso di droghe, lui disse che non era una medicina ma un abbandono dei sensi che portava ad una dimensione che non si poteva capire fin quando la si raggiungeva e finimmo l’argomento fumandoci una canna. Continuammo a vederci per circa un anno, sempre al solito posto, lui faceva le sue meditazioni mentre studiavo e nel frattempo il cane gironzolava per pisciare contro gli alberi o annusare il culo agli altri cani sotto gli sguardi allarmati dei loro padroni. Quel giorno era inverno, durante la notte aveva nevicato ed il parco era tutto bianco, sembrava di marmo. Il buddista era accovacciato  di fronte alla fontana, immobile come al solito. Ripulii una panchina e mentre il cane si scatenava in cerca di avventure olfattive aprii il libro che stavo studiando, è passato tanto tempo, mi pare fosse “Al di là del bene e del male” di Nietzsche. Passarono un paio d’ore, smisi di leggere e guardai verso di lui. Era sempre al solito posto immobile, c’era un piccione che gli si era posato sulla testa e lo beccava tra i capelli e si sentiva risuonare un toc toc toc vuoto che mi preoccupò. Mi alzai per andare a vedere, il piccione volò via ma lui rimase immobile con gli occhi chiusi. Lo toccai per svegliarlo, la mano incontrò un corpo duro, pietrificato, una statua! Non riuscivo a crederci, forse mi stava facendo uno scherzo e lui era da un'altra parte a ridere, guardai intorno ma non c’era nessuno, arrivò il cane ed incurante alzò una zampa per pisciargli nuovamente addosso, lo cacciai con una pedata poi facendo finta di niente mi allontanai. Da quel giorno non lo vidi più, che fine abbia fatto lo ignoro, forse aveva trovato quello che cercava, il Nirvana, una statua di pietra incurante del freddo e del caldo.

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