martedì 18 aprile 2017

I livelli del pensiero.



Era il periodo dell’imbarchino, bello per certi versi e brutto per altri, comunque quella notte mi ero ubriacato a morte, avevo fumato a più non posso ed avevo anche sniffato un quartino. Ricordo vagamente che avevo cercato la macchina ma non la trovavo e allora m’ero seduto su una panchina e poi in un modo o nell’altro mi ero addormentato. Era quasi l’alba, al Valentino l’aria si stava schiarendo, gli uccelli avevano cominciato a cantare…  Mi svegliai a mattino fatto per il rumore di un camion che stava caricando i rifiuti.

 In quei giorni stavo leggendo Bucowsky, non è che mi piacesse tanto, ce l’aveva a morte coi negri, con gli ebrei e con i ricchioni, sembrava di sentire parlare Hitler, una mentalità radicata nella letteratura americana, però mi aveva rotto i canoni ereditati dal liceo del eroe all’Andrea Sperelli, borghese e dandy facendomi scoprire una tecnica nuova che mi stava rivoluzionando il modo di scrivere.  Aprii gli occhi con questi pensieri, forse era la continuazione di un sogno, avevo un leggero mal di testa, nausea e mille altre cose fastidiose ma il pensiero andava per conto suo e lo ascoltavo, avevo collegato il filone che dalla moglie maiala di Bloom nell’Ulisse di Joyce passava al parassitismo montmartriano di Henry Miller, Parigi, l’Irlanda e poi l’America e Bucowsky era tedesco, fiutavo anche influssi dalle trasgressioni di Oscar Wilde che però essendo ricchione non doveva piacergli, non ci vedevo il nesso e in quel momento mi accorsi di un nero, giovane e vagamente effeminato, vestito con sandali, jeans attillati pieni di buchi ed una camicia a fiori aperta sul petto glabro dove pendeva una lunga catena con un crocefisso appeso. Il viso truccato con labbroni, un grosso naso, occhi cerchiati, orecchini e capelli ricci tinti di rosso.

 Si vedeva chiaramente che era un travestito, subito i miei pensieri cambiarono e si misero a battere a campana contro i ricchioni, che cazzo vuole questo? Come me lo tolgo di torno? E così via, quello intanto si avvicinò e mi chiese in un italiano stentato se sapevo dirgli dov’era Porta Nuova.

Provavo repulsione, in un angolo della mente si insinuò un pensiero nuovo che diceva che quella mentalità non era radicata solo in America, per un attimo scorsi le suore al catechismo ed il prete poi e quindi la Bibbia, gli impestati di Sodoma inceneriti nei forni dell’ira divina e gli indicai automaticamente la strada da prendere senza guardarlo in faccia.

“È molto lontano?” chiese ancora lui.

“Neanche un chilometro.”

“Allora ho tempo… il treno parte alle undici e poi…” si mise a ridere e continuò: “Non ho neppure i soldi, tu…che hai fatto stanotte? Hai una faccia…però non sei malaccio, se mi dai ventimila lire ti succhio il cazzo, che ne dici, sono brava.”

 La proposta mi inorridì, non ho mai avuto niente contro i ricchioni, forse è una cosa che bisogna cominciare da bambini, neanche me l’avesse chiesto un cane, per me ognuno è libero d’essere quello che gli pare ma ognuno al suo posto e gli risposi malamente d’andare a rompere i coglioni a qualcun’ altro.

 Lui imbronciò gli occhi e dondolando sulle gambe, con voce in falsetto, continuò: “Sei cattivo, ne ho proprio bisogno, devo essere a Milano nel pomeriggio, dammi almeno qualcosa.”

I miei pensieri cambiarono ancora e questa volta si scagliarono contro gli accattoni, provavo un fastidio indicibile che la nausea ed il mal di testa acuivano all’insopportabile, gli dissi ancora di andarsene, invece lui alzò una spalla e si sedette sulla panchina. Odorava di sudore misto a non so quale profumo, aveva la pelle nera degli africani ma il viso incipriato lo facevano sembrare uno zombie.  Ero disarmato, dalle narici scendeva ancora il gusto dolciastro della roba e la nausea era aumentata, avevo voglia di vomitare, provai ad alzarmi ma lui mi trattenne e disse: “Tutte le parti sono comprese nell’universale, tu ti credi superiore a me?”  

Le sue parole mi stupirono, i pensieri cambiarono ancora e questa volta si buttarono sulla filosofia, lo guardai negli occhi per la prima volta e gli chiesi: “Hai letto Hegel?”

 Lui rise e ribatté: “Mi sembri il tipo che si ferma alle apparenze, che ne sai di me?”

 Andavamo avanti rispondendoci a domande e risposi: “A me piace farmi i cazzi miei e questo ti basti.”

“Va bene, a me piacerebbe proprio fare il cazzo tuo e lo farei con molto amore…”  

Ancora… di natura non sono scortese, quello che aveva detto mi aveva colpito e non volevo più trattarlo male allora tirai fuori il portafoglio per dargli qualcosa e togliermelo dai coglioni. Guardai dentro: “Contando gli spiccioli m’è rimasto un dieci mila, te li do ma lasciami in pace.”
Non era vero, avevo appena finito un lavoro e ce l’avevo gonfio, ma dieci mi sembravano sufficienti.

 “Così?... sei proprio un bel tipo, però se me li dai li prendo ma…non mi va di averli gratis, credimi, tu ce l’hai con quelli come me ma che ne sai, hai mai provato?”

 “No, non mi interessa.”

“Parole, mi vorresti dire che sei un ipocrita ben pensante?...se non l’hai mai fatto prendila come un’esperienza nuova, dieci mi bastano, tu tieni gli occhi chiusi, non guardare, faccio tutto io. Poi ti sentirai più leggero, vedrai… noi lo facciamo meglio delle donne perché loro non ce l’hanno e non lo conoscono altrettanto bene.”

La repulsione si era allentata e la proposta mi stuzzicava, in quel momento i pensieri si erano zittiti ma sentivo un diavoletto tentatore che mi incitava da in mezzo alle gambe. Lo guardai bene, aveva il corpo flessuoso, non dimostrava più di vent’anni, il viso femmineo, le labbra che sembravano fatte apposta. Rimasi un attimo in silenzio e poi gli chiesi: “Siamo in un parco, è pieno di gente, dove lo vorresti fare?”

 Lui indicò un grosso cespuglio che cintava una fontana e rispose: “Andiamo là, tu ti sdrai e lasci fare a me, sarò uno zuccherino, ti farò vedere le stelle.”

“Va be’, andiamo.”

Ci portammo dietro la siepe, mi fece sdraiare nell’erba e iniziò subito a massaggiarmelo da sopra i pantaloni con tocco delicato ed eccitante. Mentre mi sbottonava la cerniera disse: “Adesso chiudi gli occhi, dev’essere una sorpresa.” E con la mano me li fece chiudere.

 A occhi chiusi sentivo le sue carezze sul corpo, aprì la cerniera e lo tirò fuori, ce l’avevo duro come un mattone, sentivo che lo massaggiava e la cosa era estremamente piacevole, poi non sentì più niente, rimasi un minuto in attesa e riaprii gli occhi, lui non c’era più, mi alzai di scatto e lo vidi in fondo alla strada che correva, istintivamente portai la mano al portafoglio, naturalmente era scomparso.

Ormai era troppo lontano per rincorrerlo e di fare chiassate non sono il tipo poi…bella figura ci avrei fatto se l’avessi raccontato. Nel parcheggio vidi la mia macchina, mentre la raggiungevo facevo i conti, nel portafoglio non tenevo i documenti, ci avevo rimesso duecento mila ma in banca ne avevo ancora qualche milione, mentre mettevo in moto, non so perché, mi mise a ridere.

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