martedì 9 maggio 2017

Cotolette di coscia d’agnello impanate con patate novelle fritte al burro.


Cotolette di coscia d’agnello impanate con patate novelle fritte al burro. Piatto di stagione, buono così così, l’agnello non è che mi piaccia granché, preferisco le bistecche al sangue belle spesse ma ogni tanto fa bene tenersi leggeri. Secondo i criteri della cucina alla vattelapesca si può friggere come in questo caso oppure fare alla griglia o al forno o al cartoccio eccetera, le patate novelle invece le faccio solo al burro, queste mi piacciono e di solito mi abbuffo.

Da non confondere con l’agnello di dio che toglie i peccati dal mondo, il “pharmakos” che gli ebrei prima di ogni pogrom mandano a morire nel deserto con il carico delle loro colpe per potersi così ripristinare al futuro, pharmakos era detto anche il tetrafarmaco di Epicuro, non si vede un collegamento diretto ma a quei tempi negli ospedali santuari si curava solo con l’oppio, un analgesico che toglie tutti i mali e qui ci sarebbe da discutere un bel po’ ma non ne ho voglia.

Di interessante c’è l’assonanza con Masaniello, il pescivendolo che solleva la plebe napoletana e quindi con gli Agnelli della Fiat che dopo aver sollevato i terroni a Torino fanno la fine del pescivendolo. Che terroni sia una storpiatura con trasferimento di vocali di Tirreni, gli antichi abitanti dell’Italia centro meridionale abbiamo già discusso, la cosa si collega ai veneti che per antonomasia sono definiti i terroni del nord, forse un antica colonia di Tirreni trasferita a Venezia oppure in Cadore però anche i Taurini, gli antichi abitanti di Torino suona con terroni e quindi con Tai di Cadore dove ho passato un più o meno bello periodo e qui le cose si ingarbugliano riportando ai galli cisalpini che formavano le legioni di Giulio Cesare.

Potevano essere Taurini poi dopo la castrazione rinominati in Boi e quindi agli accampamenti poi diventati città che vennero innalzati da quei soldati, i cosiddetti castri. La probabilità non è accertata al cento per cento, a Torino tra i terroni ci sono anche tanti veneti e dal mio esempio e dalle idee che portai in Cadore per poi fare la fine del pescivendolo forse qualcosa di vero c’è.

Per fortuna il mio nome non suona con agnello ma, come si suol dire, prevenire è meglio di curare.  

Visto il numero di terroni che vivono a Torino, circa i tre quarti della popolazione esclusi i profughi, si può capire, si vede un trasferimento ciclico, prima i piemontesi vanno a Napoli a liberarli dalla schiavitù dei Barboni e poi il ritorno alla Fiat con una mentalità condizionata. Si potrebbe definire Torino la Napoli del nord come Napoli la Torino del sud con Vittorio Emanuele che dà a sposare la bella Rosina a Scarpetta, il cornuto contento alla san Giuseppe, ed i tori come i buoi sono appunto cornuti.

Sembra un lavoro di ricamo all’uncinetto ma intanto anche oggi abbiamo mangiato ed il problema principale è risolto.

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