domenica 14 maggio 2017

Lolita.


Quel mattino ero al Valentino, erano circa le undici, c’era il sole, non faceva ne freddo ne caldo ed un piacevole venticello portava il profumo delle rose che stavano fiorendo nei giardini oltre alle note altalenanti di un fisarmonicista che suonava alla porta del castello. Stavo sotto un albero con la schiena appoggiata al tronco vicino alla fontana e leggevo un racconto di Isaac Singer, il figlio del rabbino, che parlava di morti che uscivano dalle tombe, dybbuk che entravano nelle persone e gli facevano fare le cose più assurde, era opprimente ma ero interessato alla cultura ebraica e continuavo a leggere, finalmente arrivai al termine, chiusi il libro e rimasi per un po’ a guardare la fontana cercando di non pensare a nulla.  

Un centinaio di metri più avanti in un prato cosparso di margherite c’era una bambina che giocava con un pallone, avrà avuto sui dieci dodici anni ed era già abbastanza formosetta, era bionda coi capelli lunghi e fluenti ed era vestita con una camiciola bianca a righe rosse ed aveva una minigonna vertiginosa sulle lunghe gambe nude. Correva ed ogni volta che raccoglieva il pallone si chinava mostrando in pieno il fiore delle sue mutandine bianche.  Cercai inutilmente di distogliere lo sguardo e devo confessare che sentivo un prurito innominabile che mi gonfiava il pacco nei pantaloni. Per svagare la tentazione ammiravo il contrasto tra il bianco delle margherite e quello delle sue mutandine e, parrà incredibile, ne sentivo distintamente il profumo, da impazzire! 

Cercai di metterla sull’intellettuale, le margherite, mi venne in mente la Margherita di Faust e la tentazione di Mefistofele, il patto col diavolo, la cosa era terribilmente arrappante e quella continuava a chinarsi e si avvicinava quasi lo facesse apposta. Avevo la mente che lavorava al galoppo in cerca di giustificazioni, ricordai una poesia di Catullo dove la labbra di una bambina in fiore erano insudiciate dallo sperma di un vecchio porcaccione, poi la Lolita di Nabocov e il Demonio di Bukowski, improvvisamente la cosa iniziò ad interessarmi e spostai l’attenzione. Presi carta e penna ed iniziai a scrivere una poesia, il testo originale l’ho perduto ma diceva all’incirca così:
 
“Brama la tigre in caccia nella giungla scarlatta
dietro la preda di cui a visto la fatta,
sangue d’intorno scorre
dalle viscere della torre,
istinto che ascolta la tromba
suonare gira e rigira nella tomba,
morto non fui, solo addormentato
e pronto son ora a sollevar…”
 
  Ricordo precisamente che non mi veniva la rima, mi ero lasciato trascinare e non avevo calcolato la prima quando davanti ai miei piedi si aprì una fossa e come fosse sputato dalla terra uscì fuori una statua di pietra che subito disse:
“Io sono Giulio Cesare, il disgustato!”
 
 La bambina si stava allontanando con il pallone in mano richiamata dalle urla della madre, sculettava e come sculettava, avevo le bave che colavano incandescenti e sentivo tutti gli intestini agitarsi come grovigli di serpi che volevano uscire dall’uovo. Il vento era cessato, non si sentiva più uccello cantare, intanto eravamo passati al Don Giovanni e questo si chiamava Giulio Cesare. Un bel problema. Mentre l’intuito lavorava in sordina gli dissi: “Giulio Cesare è morto da più di duemila anni, forse sei un matto scappato dal Cottolengo, di la verità.”
 
Lui parve arrossire come fanno le pietre vicino al fuoco e rispose: “Io sono un cantastorie, stavo sulle porte della città e le raccontavo a chi aveva i soldi per pagare, certe le scrivevo su rotoli di carta e quelle le vendevo più care, non si guadagnava granché ma si tirava avanti.”  
 
L’intuito mi stava aprendo la porta di una storia incredibile, intanto i miei visceri continuavano a contorcersi, la bambina era tornata sul prato a giocare ed il bianco delle sue mutandine che tornivano un culetto al primo fiore bello come una bistecca al sangue mi stavano raggrinzendo la pelle, sentivo artigli invisibili che si sfoderavano, lunghi denti feroci alla brama di quel sangue…  
 
 
Questa storia finisce così, arrivò uno squadrone di scolari scortati dagli insegnanti che ruppero subito le righe per mettersi a giocare sul prato, la bambina si mescolò a loro e non la vidi più, la cosa mi fece desiderare di rinascere ma per il momento dovevo accontentarmi di com’ero, il buco si era rinchiuso e la statua non parlava, quando mai si sono viste statue che parlano? doveva essere fantasia, forse avevo sognato, a quei tempi non avevo ancora pratica dei capricci dell’Arte ma ora, rileggendo queste righe, la tigre che vive sotto le mie braci si è messa in caccia ed il profumo che sente è tutta una sorpresa.

Nessun commento:

Posta un commento